di Mario Scuro
Ci sono progettazioni “ordinarie” (asfaltatura di una strada, magazzino comunale, sfalcio dell’erba), per le quali l’Amministrazione comunale in carica ha ottenuto delega; ci sono anche progettazioni “comunitarie”, che vanno presentate e discusse con i concittadini elettori, i quali hanno espresso la fiducia in cambio dell’assicurato “coinvolgimento”. Tanto più se si affrontano spese di futuribili scenari cittadini, come, ad esempio, gli interventi sui castelli e sulle mura, patrimonio della comunità.
“Marostica Notizie” già si è espressa sull’illuminazione del Castello, che viene affrontata in piena crisi energetica.
Riprendo l’intervento redazionale, per evidenziare altri aspetti “problematici”, con ricaduta sugli amministrati.
A tutt’oggi non è dato di conoscere la portata complessiva del “nuovo” progetto (“Il Giornale di Vicenza” del 24 marzo scorso ci mostra solo una vecchia foto), sintetizzato con l’offerta di una “luce emozionale” (ma quando mai le illuminazioni dei monumenti non sono emozionali”?).
Ancora una volta il progetto nasce isolato, estemporaneo, senza aver dato un’occhiata ai precedenti.
Già Marostica ha speso una somma cospicua per il “Progetto di illuminazione del Centro Storico”, per il quale si è ricorsi addirittura allo “Studio Jéol di Parigi” (1988). Progetto che prevedeva un “percorso luminoso della Città”, che deve essere “viva”, non “spenta”, per divenire appetibile anche di notte. Progetto che giace polveroso in qualche Ufficio e…nel mio archivio).
Nel 2012 l’Amministrazione è ricorsa all’architetto concittadino Roberto Xausa, il quale propone “l’illuminazione diffusa, con sorgenti terrestri, graduabili e variabili”. Ma Xausa non è più di gradimento.
È seguito il progetto dell’Amministrazione Dalla Valle con proposta di ricorrere al led. Non si sa dove sia finito il disegno, approvato in Consiglio Comunale; ancor oggi sostenuto con forza dal consigliere di minoranza (ex-assessore decisionale) Antonio Capuzzo.
Una notizia – giuntaci sotterranea – ci informa che, per l’attuale progetto, si è chiesto l’intervento addirittura dell’archeologo per l’esame del terreno castellano.
Anche questo è un dispendioso intervento superfluo.
Infatti, il terreno attinente al Castello è stato “scavato” una prima volta nel 1994, con la “scoperta” del probabile muro di contenimento del fossato che circondava la fortezza; nel 2004, per l’eliminazione dell’umidità di risalita, con ”rinvenimento” del tratto dello stesso muro a Sud; nel 2012, in occasione dei lavori di rifacimento del cortile interno del Castello, con evidenziazione di “importanti fondazioni ortogonali di un edificio fino ad oggi ignoto e di un lacerto di pavimentazione in mattoni posti di taglio a spina di pesce”. Peccato che, nonostante le mie precedenti raccomandazioni, mirate a lasciare in evidenza, con sovrastrutture trasparenti, almeno parte delle “scoperte”, sia stato tutto ricoperto.
Rilevare, oggi, resti archeologici nei 40-50 centimetri di sabbia del Brenta riportata è una puerile cautela immotivata, alla quale solo l’assessore emergente Ylenia Bianchin – che ha preso in mano il “centro storico” – penso possa dare risposta.