SIAMO COMPLETAMENTE IMPAZZITI: LA MONTAGNA DEVE ESSERE RISPETTATA!

Riportiamo l’articolo de ILDOLIMITI.IT

Nuova pista da sci di plastica e sostegno alla neve artificiale: sull’Altopiano dei Sette Comuni “si lavora per allungare l’inverno”

Una gestione dell’overtourism in chiave ludico-elitaria: milioni di soldi pubblici in impianti di innevamento artificiale, piste di plastica con cui rivestire i pendii per sciare tutto l’anno. Ecco il viatico altopianese per la promozione del territorio

Di Luca Trevisan | 18 ottobre | 14:31 Condividi

Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Tre episodi, solo apparentemente slegati tra loro, definiscono invero perfettamente le linee di pensiero che orientano le scelte di alcune amministrazioni dell’Altopiano dei Sette Comuni sul tema del turismo e della conseguente promozione del proprio territorio.

Uno. Dopo un investimento di 8 milioni di euro provenienti dai fondi Odi (fondi di confine) disposto dal Comune di Asiago, che ne aveva beneficiato, così da finanziare il rifacimento dell’impianto di risalita delle Melette di Gallio (“ski-area” che si sviluppa tra i 1400 e i 1700 metri circa, lungo pendii su cui promette “emozioni senza fine”), è di questi giorni la notizia di un nuovo finanziamento pubblico, questa volta per la produzione della neve artificiale.

Qualcuno dev’essersi accorto che ultimamente nevica poco. Certi amministratori, onestamente, ancora tendono a negare il cambiamento climatico, forse un po’ a confondere distrattamente clima e meteo. E, del resto, si parla del rialzo delle temperature, ma poi bastano un po’ di freddo prima del previsto o qualche nevicata precoce per far dire ad alcuni: “Gheto visto? Dov’è la crisi climatica?”. Tuttavia, come si diceva, anche qualcuno tra questi dev’essersi alla fine reso conto che sì, ultimamente non nevica poi così tanto come nei gloriosi decenni andati. E allora non resta che spararla, la neve. Perché laddove la natura non arriva, ci pensa l’uomo a definirne i percorsi.

Ecco allora che alle Melette si è deciso di lavorare per “un inverno più lungo e un futuro più verde”. Confesso che questa lettura antinomica desta fin da subito qualche perplessità, ma facciamocela andare: in fin dei conti non si nega a nessuno l’uso – quantunque un po’ indiscriminato – di aggettivi quali green o slow, che, messi lì a caso nelle frasi, opportunamente decontestualizzati, hanno però la loro efficacia nel tentativo di disorientare chi legge senza troppo pensare. Alle Melette, dicevamo, si lavora per allungare l’inverno. C’è da rimanere sbalorditi: oggi che l’inverno tende a restringersi, che le temperature si fanno sempre un po’ più miti, qui si lavora per ottenere l’opposto. Non è difficile. Sì, certo, i giorni-neve (cioè quelli che consentono di produrre la neve artificiale) sono oggi sempre meno, ma alle Melette si è deciso di destinare qualche ulteriore milione di euro di soldi pubblici e privati per produrre neve artificiale comunque, dato che ormai quella naturale viene col contagocce. E per di più quando decide lei, mica quando serve davvero all’industria dello sci.

Piste bianchissime e perfettamente sciabili anche senza nevicate. Alle Melette si guarda al futuro con l’impianto per l’innevamento programmato, un’opera da 4,2 milioni di euro attesa da anni e possibile grazie a un finanziamento del Ministero del Turismo da 2,9 milioni di euro e da 1,4 milioni di euro che arriveranno invece da un aumento del capitale sociale della Ski Area Asiago 7 Comuni”, scrive Gerardo Rigoni sul Giornale di Vicenza del 15 ottobre 2024. “La realizzazione dell’impianto di innevamento artificiale prevede l’utilizzo di una sorgente presente nella valle del Pakstall, non più utilizzata da Etra per l’approvvigionamento idrico”, prosegue l’articolo, dalla quale l’acqua verrà prelevata e sospinta attraverso una conduttura per nutrire il bacino delle Melette. Quindi le previsioni saranno di pompare quanta più acqua possibile a ridosso dei giorni-neve favorevoli, con buona pace per lo spreco idrico ed energetico. Da un lato si lamentano i problemi ingenerati dalla crisi climatica (leggi: la scarsità di neve naturale) e dall’altro si mettono in atto, però, comportamenti che favoriscono proprio la crisi stessa. Misteri del genere umano, incapace di alcuna forma di lungimiranza. “L’opera è strategica non solo per il futuro di Gallio ma per l’intero Altopiano”, s’affretta a dire Marinella Sambugaro, neoeletta sindaco di Gallio, mentre Bruno Oro si spinge oltre, auspicando addirittura “ulteriori futuri rafforzamenti di questi impianti”.

Due. Al Kaberlaba invece, nel territorio comunale di Asiago, fiore all’occhiello dello sci domestico dove 4 milioni di euro pubblici hanno recentemente permesso di installare su suolo privato un modernissimo ed efficientissimo impianto di risalita quadriposto che conduce lo sciatore da quota 1000 metri a poco più di 1200 metri, al problema della neve che non c’è se non per pochi giorni all’anno (e maledizione, questi giorni mica si allineano alle esigenze del cliente!) ci hanno già pensato eccome: e non solo con un impianto di innevamento artificiale, ma addirittura con l’idea di installare degli impianti di raffreddamento dell’aria, per poterla sparare, la neve, non solo quelle due o tre volte all’anno in cui le temperature sono favorevoli all’operazione, ma anche quando fa più caldo (ne parlava per L’AltraMontagna in un suo articolo Luca Pianesi lo scorso 4 agosto). Si agisce intervenendo sul clima, come se tutto questo fosse a costo energetico (la si pensi in termini di riscaldamento globale) pari a zero. E’ la logica dello struzzo che finge di non vedere e di non sapere? E’ la logica del profitto immediato, ora e subito? E’ meglio un guadagno facile oggi, piuttosto che lasciare un patrimonio territoriale integro alle generazioni di domani?

Ma al Kaberlaba sono comunque più avanti, rispetto alle Melette. E, infatti, qui si è deciso di potenziare tutta l’area, ora rinominatasi Kaberland (nomina sunt consequentia rerum, diceva qualcuno), di trasformarla in un perpetuo parco giochi attivo d’inverno, con lo sci, e d’estate, con il fun-bob – una sorta di Bruco Mela che, attraverso una rotaia d’acciaio, permette al turista di scendere dalla montagna -, con una pista di downhill per le mountain bike, e ora – notizia recente, apparsa sul Giornale di Vicenza del 17 ottobre sempre a firma di Gerardo Rigoni – con una nuova attrazione di cui si sentiva davvero la mancanza: la possibilità di sciare tutto l’anno sui pendii del Kaberlaba opportunamente rivestiti, ça va sans dire, da una nuova pista di plastica. “Un’innovazione”, come la definiscono, una perfetta “alternativa alla neve”. Una delle idee più geniali degli ultimi tempi, non c’è che dire: la “svolta green more altopianese di sciare sul verde della plastica posata a sua volta sul verde dei prati estivi.

Tre. Il terzo movimento di una sorta di processo triadico di interventi rivolti alla promozione del territorio altopianese viene da alcune riflessioni emerse in merito al lamentato overtourism verificatosi ad Asiago durante la scorsa estate. La ricetta per contrastare il sovraffollamento, così come illustrata dal sindaco Roberto Rigoni Stern, è di raddoppiare le casette dei mercatini di Natale. La tradizione dei mercati di Natale risale al XV secolo, quando fece la sua comparsa in varie città tedesche, dove diversi artigiani e piccoli commercianti iniziarono ad esporre oggetti di produzione propria ad un pubblico per lo più facoltoso di nobili o borghesi agiati. La tradizione nei secoli si diffuse rimanendo tipica dei luoghi di lingua e cultura germaniche, tant’è vero che in Italia essa era originariamente attestata nell’area di Bolzano, Merano e dell’Alto Adige in genere. Poi magicamente – dev’essere stata proprio la magia del Natale a ispirarne la diffusione – questa tradizione si è espansa e non esiste oggi città del nord Italia che non abbia i suoi mercatini di Natale. Casette prefabbricate tutte uguali dove commercianti vendono prodotti seriali identici tra loro, tanto che da Torino a Verona, da Belluno a Padova, è possibile acquistare grossomodo le stesse cose. Sempre in nome della valorizzazione delle specificità locali e di quello che i luoghi sono realmente. E, infatti, anche Asiago vuole fare la sua parte, arrivando a competere coi mercatini più famosi del Trentino Alto Adige, scrive Stefania Longhini, riportando le parole del sindaco, su L’Altopiano di sabato 12 ottobre scorso. Per far questo serve spazio, e si pensa allora anche ad un secondo parcheggio interrato, che potrà servire per le settimane di agosto e per quelle a cavallo tra dicembre e gennaio: all’incirca dalle 6 alle 8 settimane l’anno.

Ma è sull’innalzamento della qualità dell’offerta turistica che si punta (giusta la citazione sin dal titolo dell’articolo) quale “antidoto all’overtourism“. “La nostra volontà è di staccare sempre più il nome di Asiago da un’idea di turismo di massa e fare in modo che il nostro territorio venga considerato una meta turistica d’élite“, dichiara nell’articolo il sindaco. “I soldi ricavati verranno reinvestiti in azioni volte a migliorare l’offerta turistica, creando così un volano per tutti“.

Conclusioni. E’ forse proprio questa la logica di promozione che suscita in molti diverse perplessità: l’idea, cioè, di un turismo che deve diventare di una ristretta élite economicamente agiata, di un turismo esclusivo, che escludeappunto, anziché farsi inclusivo e anziché favorire l’accesso consapevole e la conoscenza delle tradizioni storiche e delle risorse collettive del territorio. Se poi “i soldi ricavati verranno reinvestiti in azioni volte a migliorare l’offerta turistica” del calibro di quelle che si sono più sopra descritte (impianti di risalita a basse quote, impianti di innevamento artificiale, sistemi di raffreddamento, piste da discesa in plastica, casette natalizie di produzione seriale, montagne trasformate in parchi giochi ecc.), anche qui si apre un capitolo molto discutibile. Perché “quel volano per tutti” va inevitabilmente ricalibrato in un volano a beneficio di una ben determinata categoria sociale che da questo genere di turismo ha una ricaduta diretta sul piano economico.

Infatti – come ben spiega Sarah Gainsforth nel suo bel libro Oltre il turismo. Esiste un turismo sostenibile? (Eris edizioni, Torino 2023) – “l’overtourism è una conseguenza, oltre che degli interessi privati in gioco, di una strategia di crescita delle città da parte di quelle pubbliche amministrazioni che da una parte promuovono la crescita del turismo e dall’altra ne lamentano gli effetti”: una contraddizione che è, di fatto, il frutto di un modello di crescita insostenibile. “Inquinamento e consumo di suolo con opere inutili e infrastrutture per il turismo, espulsione di abitanti e attività commerciali, spopolamento […], sviluppo selettivo e aumento delle disuguaglianze. Questi sono alcuni degli effetti del troppo turismo sull’ambiente e sui centri urbani”, prosegue Gainsforth, “eppure si continua a sostenere che il turismo è una risorsa, il turismo porta lavoro, il turismo genera ricchezza”.

Il fatto è che “il turismo non è un settore a sé stante ma la somma di attività attinenti a diversi settori e comparti economici: servizi, trasporti, ristorazione, cultura, alloggio e via dicendo”: settori su cui la ricaduta economica influisce pertanto in modo assai diversificato, con buona pace di chi crede che il turismo sia un “volano per tutti”. Perché, come evidenziano le ricerche, gli introiti di un gestore di un impianto o di un albergatore o di un ristoratore non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelli, ad esempio, di quasi il 40% dei lavoratori (precari) nel mondo della cultura collegato al turismo, che “guadagna meno di 5 mila euro l’anno”. Ma non è tutto qui: perché se il turismo reca vantaggi a una ben determinata categoria sociale, non è affatto un “volano per tutti”, soprattutto quando ragioniamo in termini di accesso ai servizi che un residente (di montagna, ma non solo) ha a sua disposizione: il valore drogato degli immobili nelle località turistiche, infatti, fa schizzare i prezzi e gli affitti alle stelle, con ricchi benefici per chi è proprietario di un piccolo appartamento – che a quel punto preferisce affittare settimanalmente o anche solo per qualche giorno ai turisti, a ben altro prezzo di mercato – e gravi disagi per chi invece cerca casa nel territorio di residenza.

La verità è che “la risorsa non è il turismo: la risorsa sono le città, i territori, i beni culturali, i monumenti, i musei, i siti archeologici e naturali”, come ancora scrive Gainsforth. La risorsa è la montagna, per focalizzare il discorso all’ambiente di nostro più specifico interesse. “Con la logica del turismo petrolio d’Italia questo patrimonio viene sfruttato, più che fruito, come un giacimento per ricavarne profitti per pochi”, al punto tale che l’economia del turismo si trasfigura in una sorta di economia estrattiva che estrae valore dalla risorsa.

La consapevolezza in merito a questi ragionamenti è un terreno ancora fragile e chiarisce come occuparsi di turismo sia un impegno che richiederebbe specifiche competenze: ed improvvisarsi su queste tematiche, senza adeguata competenza, può davvero risultare a volte rischioso.

Promuovere il rispetto dell’ambiente, del paesaggio inteso quale valore storico, antropico e culturale, della montagna quale luogo della coscienza collettiva da tramandare alle future generazioni in un’ottica di sostenibilità economica pare stia diventando sempre più un gesto in controtendenza. Ma occorre avere il coraggio, soprattutto oggi, di fronte ai tempi che stiamo vivendo, di evadere da certi schemi di sfruttamento economico delle risorse. Occorre avere il coraggio di credere con assoluto disincanto in una montagna libera di non essere sfruttata, prosciugata, cementificata, “disneylandizzata”, trasformata in una perpetua replica di un dejà vu fatto di orpelli sempre identici di posto in posto, che tolgono specificità ai luoghi.

E’ come un vento, questo pensiero, che soffia lieve ma “soffia ancora”: “eppure sfiora le campagne e accarezza sui fianchi le montagne”.

a cura di Osservatorio Economico Sociale di Marostica