di Mario Scuro
La Roggia di Marostica è opera dell’uomo. Essa fu costruita dalla “Serenissima”, con il concorso dei suoi esperti del Magistrato delle Acque, facendola derivare dal torrente Longhella.
La mappa veneziana dell’Archivio di Stato di Venezia, datata 14 aprile 1662, opera del perito Francesco Alberti, ci rende edotti che il deflusso delle acque fu operato nel sito ancor oggi denominato “Fontanazzo” (Vallonara, all’imbocco della Val d’Inverno) e sviluppato con opere di alta ingegneria a percorrere il territorio comunale di Marostica fino al Ponte Cattaneo, con “lo scopo della macina, dell’irrigazione e del supporto alle attività artigianali e industriali” (v. Marostica centro storico di interesse pubblico).
Dalla lettura possiamo dedurre che lungo la roggia, sotto Venezia, Marostica aveva ben 11 mulini, alcuni “a copelo”, altri “a paleta”.
Sono questi i mulini, che appaiono nel disegno: 1. Fratelli Colpi, 2. Eredi Freschi, 3. Mattio Notte, 4. Eredi di Giacomo de Notte, 5. Francesco Parise, tutti nella zona di Consagrollo; 6. Paulo Zattabella (dizione successiva, mappa 1672, lungo via Maggiore Morello – ancor oggi visibile la gora); 7. Francesco Toniazzo, detto Bracco (entro le mura, ora ex-Magazzini Menegotto); 8. Paulo Marzaro (entro le mura, dietro l’attuale ristorante Caissa); 9. Paulo Marzari (lungo la prima deviazione a destra di via Roma – da ultimo noto come Chiminello, l’ultimo anche a chiudere); 10. Alberto Matiazzo (ancora visibile alle Gobbe – recentemente trasformato nella Brasserie Al Mulino); 11. Domenico Matiazzo (località Ponte Cattaneo – visibile, inglobato nella ditta Vimar di viale Vicenza).
La Roza Marostegana seguiva ad Ovest il corso del Longhella fino alla trattoria della Zita; passava sotto il torrente, sfociando davanti alla trattoria Rossi; seguiva ancora a Nord il Longhella di via Consagrollo; ripassava sotto il torrente all’altezza del fabbro Argentin, dirigendosi, affiancando via Maggiore Morello, verso Borgo Giara; lambiva, a Nord, i terreni del convento/ospedale San Gottardo e della Pieve, a Sud, il Campo Marzio; entrava nella cinta muraria a Nord della Torre R (Caron); percorreva da Est ad Ovest il centro storico, a Nord dell’attuale Corso Mazzini, attraversata da ponticelli nelle attuali vie Tempesta, Cesare Battisti, Sant’Antonio; deviava a Sud all’altezza del panificio, ultimamente Segala, scorrendo poi lungo il retro delle case a schiera ad Ovest della Piazza; usciva a Porta Vicenza, irrigando le colture agricole dell’Ortolana e dei Menacao, alimentando i grossi mulini Chiminello, Gobbe, Ponte Cattaneo e contribuendo ancora “per l’irrigazione dei campi coltivati” della piana.
Rimase a cielo aperto fino al secondo dopoguerra.
L’azione dei mulini ad acqua era impostata sull’energia meccanica prodotta dalla corrente di uno stretto corso d’acqua derivato dalla roggia, detto “gora”, regolabile nel flusso, condotto forzatamente alla grande ruota esterna all’edificio. Due erano i sistemi di azione della ruota: “a copelo” (la ruota è mossa dall’acqua che cade dall’alto nelle “cassèle”, ossia in una specie di contenitori fissati sul diametro della ruota stessa); “a paleta” (la ruota è spinta dall’acqua che scorre con conduttura forzata al di sotto, lambendola).
Una serie di meccanismi metteva in azione le due mole interne entro le quali era scaricato il grano per la macina: la prima fissa, la seconda mobile per regolare la pressione a seconda del tipo di farina che si voleva ottenere.
A Marostica i mulini erano a una, due, tre, quattro ruote.
Marostica fu per secoli centro annonario. I suoi magazzini servivano tutto l’Altopiano dei Sette Comuni (ricordiamo “la rivolta del pane” del 1915), il Canal di Brenta, la Pedemontana dall’Astico al Piave.
I Menegotto, grandi distributori di alimentari, nell’Ottocento, fissarono la loro sede fra via Tempesta e il Caneseło (resti edilizi ancora visibili dalla sede comunale) ed esercitarono la loro attività di produzione e di vendita fino al secolo scorso.