di Mario Scuro
Il 12 novembre 1943, Vicenza ha un nuovo federale: è Giovanni Battista Caneva, il quale ha partecipato alla Marcia su Roma e si insedia in contrà San Marco.
Il 21 novembre dello stesso anno, alle ore 6 del mattino di una fredda domenica, sulla Marostica-Asiago, sopra Vallonara, mentre si dirige a Lusiana, subisce un agguato il commerciante marosticano sessantenne Alfonso Caneva, zio del neo-federale. Il suo furgoncino, colpito da un proiettile al radiatore, si blocca in mezzo alla strada. L’uomo esce dall’auto. Nell’oscurità si ode un secondo sparo. Alfonso Caneva, colpito al capo, muore all’istante.
Immediata si rivela la reazione degli squadristi. Rimpolpati da nuclei di furibondi camerati vicentini, i fascisti repubblichini cingono d’assedio il centro di Marostica. Sparano colpi di fucile in aria, emettono grida concitate e invitano a “far presto e subito come a Ferrara” [dieci antifascisti fucilati alla schiena]. Le squadre rastrellano alcuni giovani antifascisti o presunti tali, che vengono picchiati e messi al muro.
Componenti della X MAS e della Brigata Nera bloccano tutte le uscite del centro storico e, tra la popolazione ammassata sulla piazza, individuano gli antifascisti, che vengono arrestati. Tra essi: Giovanni Passuello “Nani Berto”, Giulio Girardi, Giambattista Tasca, Attilio Costacurta “Mastegon”, Raffaello Canevari, Arpi Ragazzoni, Gildo Guarda, Rinaldo Bittante, Fulvio Pasquali, gli studenti Guido Napoleone Costa e Valter Viaro, il dottor Pedrollo direttore della Cassa di Risparmio, il professor Serafino Serafini, Rino Lunardon “Bettina” [impiegato all’Annona, sospetto di aver falsificato carte annonarie per i ‘ribelli’], come ricorda Zaira Meneghin. Alcuni sono pestati durante gli interrogatori; altri sono trasferiti al carcere di San Biagio a Vicenza. Il Girardi, quando, dopo la Liberazione, tornò a Marostica dal carcere di Milano (la malfamata caserma Muti di via Rovello), confidò: – Chi lo sa se tutto questo verrà capito e ricordato?!
La rappresaglia non fu limitata alle persone. I fascisti devastarono le case dei fermati, gettando tutto dalle finestre. Si videro ragazzi di 15 anni che colpivano con il calcio del mitra in mano le persone che incontravano. Corse voce che sarebbe stato organizzato un rastrellamento.
Noi piassarołi (ragazzi della piazza) quel mattino ci trovavamo ai campi de Costa, intenti agli scoppi del carburo.
Il carburo di calcio è una sostanza solida, cristallina, incolore o chiara per presenza di impurità, dal caratteristico odore, che, reagendo con l’acqua, sprigiona un gas infiammabile ed esplosivo, chiamato acetilene.
Il gioco, quel giorno, assunse una certa intensità, poiché noi credevamo che gli scoppi che udivamo fossero provocati da altrettanta esperienza dei nostri compagni avversari della Grota. In realtà i colpi erano da attribuirsi alle sparatorie innescatesi tra i nazi-fascisti asserragliati nel castello e i partigiani sparsi sulla collina.
Quando tornammo a casa, fummo bloccati dai militari a Porta Vicenza e condotti nell’ufficio del Federale. Furono chiamati i genitori. La mattina si chiuse con una dura ramanzina.
Uscendo, vidi ammassati nel cortile i prigionieri ricordati da Zaira. Ho sempre presente Rino Lunardon, il quale piangeva per le percosse ricevute.
Sull’episodio Caneva non si è mai avuta la verità se non quella concordata dalle autorità fasciste. Fu un’azione partigiana? O con più probabilità un regolamento privato di conti forse per questioni di donne, trasformato poi in fatto politico per giustificare l’assedio a Marostica?