Se le tue proposte in Assemblea sono competenti e valide per una gestione efficiente della Cooperativa confrontate con quelle di chi viveva sugli allori ed incentrate sulla persona di Scomazzon, prima o poi vinci. Ed è quello che è accaduto alla Coop dei Consumatori di Marostica. È stata una delle più grandi ed inaspettate soddisfazioni della mia vita umana e professionale. Dopo essere stato buttato fuori 10 anni fa per aver espresso le mie opinioni ed i dubbi sulle decisioni che si volevano prendere. E la perdita in realtà è stata maggiore pari a circa 900.000 euro in quanto gli ammortamenti sono stati considerati al 50%. Un trucco contabile.
E mi è stato anche riconosciuto da Consolaro che era corretta la valutazione fatta da me in assemblea lo scorso anno. Nel 2021 la Coop era pure in perdita nella gestione di circa 210.000 euro, in quando c’erano stati dei ricavi straordinari non ripetibili ed extra gestione che avevano occultato tale perdita. Non c’era quindi alcun utile dovuto alla normale gestione di 248.500 euro. Non sarebbe stato possibile moralmente nemmeno distribuire il ristorno, come è stato fatto per glorificare l’uscita di Scomazzon. Si è nascosta la faccenda e si è riso addirittura al mio intervento come fossi un buffone incompetente. Una vergogna assoluta.
Ed i Sindaci Gianni Scettro, Maurizio Carlesso e Alferio Crestani hanno occultato ai Soci l’informazione, utilissima per prendere subito dei provvedimenti. Per la loro responsabilità devono dimettersi e sparire dalla Coop.
Dopo il mio intervento che esaminava come operare una netta innovazione nella gestione, Consolaro chiede: “E la tua domanda?” . La mia risposta è stata immediata: “Dove è il piano strategico per superare la situazione?” E miracolosamente sullo schermo sono apparsi i punti che avevo presentato come progetto anni fa. Punti che si basavano su una ricerca di “customer satisfaction” che avevo fatto con circa mille interviste tra i Soci per la tesi di una laureanda dell’Università di Udine dove insegnavo al termine della mia carriera manageriale. Ricerca buttata nel cesso.
Quindi per me si è verificato un fatto incredibile e diciamo che sono speranzoso che la Cooperativa dei Consumatori non sia buttata via come la Banca Popolare di Marostica. Certo ora serve veramente l’ascolto e la collaborazione di tutti perché la strada è in salita.
Ormai abbiamo capito che il Mozzo non ama il dibattito democratico. Ma gli piace agire con ciò che lui ha deciso, o chi per lui. Lo si è capito anche nell’ultimo consiglio comunale del 27 aprile in cui tutte le minoranze sono uscite dall’aula consigliare perché il Mozzo ha voluto deliberare su due provvedimenti a tempo scaduto. Roba di edilizia naturalmente per avere quattro voti in più. Un mese prima del voto non si possono fare delibere se non quelle di spesa corrente. Invece il Mozzo vuole lavorare in silenzio fino all’ultimo minuto sacrificando le regole della democrazia, perché vuol dimostrare che fa, ovviamente nell’interesse della Comunità. Ma solo i gonzi ormai ci credono. Gran lavoratore quindi il Mozzo, peccato però che ha scelto il posto sbagliato perché ha poche competenze, rifiuta il dialogo democratico e per finirla si è messo in mano a quei “volponi” di Scomazzon e Colosso che con il supporto dall’esterno di Bucco lo hanno girato e rigirato in questi anni.
Ma vincerà le prossime elezioni? Probabilmente sì. Perché la lista Santini è troppo buonista, segue una logica politica ormai superata, quando l’andazzo popolare di Marostica è da maggioranza “silenziosa”, se non “nera”. E poi andava fatta una opposizione molto più radicale.
Siccome però a noi piace che le storie abbiano un inizio ed una fine siamo curiosi di vedere i prossimi 5 anni di Mozzo che porteranno a termine un ciclo della Lega al potere con questa volta il supporto dei neofascisti, o inventati tali per opportunità politica. Il futuro di Marostica non sarà certamente roseo, ma nero. L’alternanza probabilmente ci sarà quando ci sarà vera opposizione. Noi, anche per ovvii motivi di denunce ricevute dal trio Mozzo, Scomazzon e Colosso, per bloccare la nostra libertà di parola, facciamo come Totò: vota Santini, vota Santini. E non ci asterremo. Votare è un diritto di tutti. Si vota quello che la Provvidenza offre anche per colpa nostra. Sperando che vinca e che Mozzo torni a vendere vino.
RIPORTIAMO QUANTO PUBBLICATO DA GEDOREM ANDREATTA. COSA È LA FINANZA ALTERNATIVA? IN QUALI SETTORI HA OPERATO? CONOSCE IL FUNZIONAMENTO DEL SISTEMA BANCARIO? IN QUALE SOCIETÀ DELLA CASSA DEPOSITI E PRESTITI OPERA COME ADVISOR? QUALI SONO I PROGETTI DI ECONOMIA SOCIALE? QUALI AMMINISTRAZIONI SONO COINVOLTE?
“Ho un’istruzione classica/umanistica e provengo da una famiglia di imprenditori. Sono anch’io un imprenditore che ha operato in diversi settori e principalmente nel settore dei servizi per le PMI. Ho sempre avuto una passione per il diritto e la finanza alternativa, che mi ha portato negli anni a costruirmi una professionalità collaborando con numerose aziende e proessionisti. Da qui è nato il mio impegno professionale dalla parte delle piccole realtà del territorio. Ho sviluppato infatti una consultig che ha offerto servizi relativi alla gestione dei rapporti e del contenzioso bancario ed alla finanza agevolata ed alternativa. Per finanza alternativa si intende “alternativa” all’attuale sistema bancario che mette il profitto e la speculazione al primo posto dei propri valori, venendo così meno alla sua originaria e naturale funzione di supporto al credito per imprese e famiglie, come abbiamo visto ampiamente nel nostro paese ed in particolare nella nostra regione. Sono perciò convinto che solo con un nuovo paradigma e puntando su nuovi modelli di economia, circolare e ad impatto sociale riusciremo a cambiare tutto questo. Proprio in continuità con questi principi sto lavorando già da qualche anno come advisor per una importante società partecipata dal Gruppo Cassa Depositi e Prestiti che si occupa della costruzione di filiere commerciali ad impatto sociale utilizzando strumenti finanziari alternativi, per la quale sto seguendo in prima persona progetti di Economia Sociale che coinvolgono anche Enti ed Amministrazioni Locali”.
Quando sento parlare di riciclo dei rifiuti mi si rizzano i capelli dato quello che si legge sui giornali. L’Africa come pattumiera, mafia in azione, incendi dolosi, scarichi abusivi, plastiche non recuperate, certificati verdi che non si sa cosa siano, ecc. Insomma un vero e propri casino. Ma quando c’è un serio impegno mettendo in campo conoscenze scientifiche e tecnologia, il discorso cambia. L’altro giorno si è presentato al Rotary Bassano-Marostica l’ing. Massimo Neresini, amministratore delegato della Sicit. Sembrava una serata come tante per parlare teoricamente di economia circolare. Invece no. Anni fa i conciari di Arzignano avevano tonnellate di scarti dalla lavorazione del pellame di cui non sapevano che farsene. In 40 fondarono nel 1960 la oggi Sicit Group S.p.A. per trovare una strada di recupero ed utilizzo del materiale di scarto. La Sicit è diventata una azienda gioiello tecnologico con sede a Chiampo, leader mondiale nel produrre idrolizzati proteici (stimolanti) per l’agricoltura e ritardanti per l’industria del gesso. Il suo processo è una esclusività a livello mondiale, anche se l’azienda non lo ha brevettato per impedirne la conoscenza ad aziende che non rispetterebbero poi i diritti di proprietà. I biostimolanti sono normati come fertilizzanti dal nuovo regolamento europeo (1009/2019) come sostanze in grado di stimolare i processi metabolici delle piante e di migliorarne le caratteristiche. In Italia Sicit ha due stabilimenti. A Chiampo ed Arzignano. Quest’ultimo, con continui investimenti sia in attrezzature che laureati con il massimo livello di formazione, dal 2004 è lo “stato dell’arte” mondiale per la produzione di amminoacidi e peptidi per il settore agricolo. All’estero ci sono due società: Sicit China e Sicit USA.
Una serata indimenticabile per essere informati sulle vere innovazioni di economia circolare per il riciclo dei materiali e per salvaguardare l’ambiente, creando aziende di alta tecnologia ed elevato profitto.
Non c’è stato alcun coinvolgimento degli uffici scolastici locali per l’investimento nella scuola montessoriana, come affermato dal Mozzo. Si tratta infatti solo di una richiesta di fondi sul Pnrr che è stata ritenuta compatibile. Evidentemente il Mozzo-Scomazzon ha coinvolto qualche società di consulenza per impostare alcuni progetti del Comune compatibili col Pnrr. Ma la realizzazione è tutt’altro che certa. Anche perché la didattica montessoriana del coinvolgimento degli alunni in buona parte è stata adottata dalla didattica attuale delle scuole e quindi nuove iniziative come scuole specifiche sono fuori luogo. Anche perché avrebbero dei costi poco compatibili con l’attuale bilancio pubblico. E tra l’altro la maggior parte delle scuole montessoriane sono private.
Quindi allo stato attuale c’è solo lo stanziamento e manca tutto il resto: progetto e coinvolgimento delle istituzioni scolastiche, che anche dovrebbero fornire insegnanti specifici.
L’operazione di Mozzo è solo propaganda elettorale, fumo negli occhi per far dimenticare che l’unico progetto realizzato, contro la volontà dei cittadini, è l’orrenda ed inutile fermata del bus.
Saluto tutti i presenti, le autorità e coloro che hanno voluto ridarmi fiducia, chiamandomi ad intervenire pubblicamente anche in questa occasione così importante. Solo qualche mese fa ci siamo riuniti sotto questo stesso monumento per posare una corona e poi sotto la lapide nel cortile del castello che ricorda i Quattro Martiri. In quell’occasione io ho scelto di parlare della “memoria”, concetto che vorrei richiamare anche oggi.
Memoria intesa come “conoscenza della realtà storica”.
In questo caso, la conoscenza di quello che ha portato alla caduta del fascismo e la riconoscenza verso chi ha combattuto per arrivarci.
Se siamo a conoscenza dei fatti non possiamo mettere sullo stesso piano i protagonisti di quel periodo storico, perché gli ideali, per cui i partigiani hanno combattuto, sono quelli che hanno condotto l’Italia alla libertà e alla democrazia.
Libertà e democrazia di cui noi, oggi, godiamo.
Senza la lotta per la Liberazione non ci sarebbe la Repubblica e neanche la Costituzione, grazie alla quale tutti noi possiamo godere di diritti fondamentali, come la libertà di pensiero, di parola e di associazione.
Grazie alla Costituzione, forze politiche diverse si possono alternare alla guida del nostro paese e al governo delle amministrazioni locali e tutte secondo la volontà dei cittadini. Così è in uno stato democratico.
Ecco perché conoscere i fatti, ricordare la verità storica è una condizione fondamentale per parlare e per celebrare il 25 aprile.
Non c’è bisogno di nessun revisionismo: il 25 aprile è il simbolo della liberazione dal fascismo e dal nazismo, è l’esaltazione della vittoria della libertà e della democrazia sull’oppressione.
Ed è soprattutto l’occasione per ricordare coloro i quali hanno sacrificato anche la loro vita perché noi possiamo godere di tutto ciò. Tra questi vorrei ricordare, per la prima volta nella nostra città, Pietro Dolci, marosticense, operaio antifascista che fu barbaramente ucciso dai fascisti, nel luglio del 1943, in seguito ad uno sciopero allo stabilimento dell’Autobianchi a Desio, dove lavorava e dove una lapide riporta il suo nome come “Caduto per la libertà”.
Quel 25 aprile del 1945, alle 8 del mattino, la voce di Sandro Pertini, dai microfoni di Radio Milano Liberata, proclamò l’insurrezione generale in tutti i territori ancora occupati, ponendo le truppe dei nazifascisti di fronte al dilemma: “Arrendersi o perire!”.
Il proclama era stato emanato dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia e dal Corpo dei Volontari per la Libertà per invitare il popolo italiano all’insurrezione generale, evitando però un inutile bagno di sangue. Per coloro che avevano servito i tedeschi e sostenuto il fascismo restava una sola via di scampo: consegnare le armi e arrendersi al CLN (Comitato di Liberazione Nazionale).
Quello stesso giorno Milano venne liberata dai partigiani, pochi giorni prima dell’arrivo degli Alleati.
L’effettiva resa incondizionata delle forze tedesche in Italia e della Repubblica Sociale Italiana venne siglata pochi giorni dopo, a Caserta.
Era il 29 aprile 1945.
Terminava così il lungo e doloroso processo di liberazione del Paese con un costo elevatissimo di vittime militari e civili ed aveva inizio una nuova stagione di pace e di democrazia.
Ma quel 25 aprile del 1945,
di fatto, non fu l’ultima giornata di combattimenti tra forze nazifasciste, alleati e brigate partigiane. Purtroppo quel giorno non segnò la fine immediata delle ostilità. La ritirata tedesca lasciava dietro di sé saccheggi, distruzioni
e tante vittime partigiani e civili.
Tutta la provincia di Vicenza venne attraversata dall’esercito nazi-fascista in ritirata. Fatti terribili, vere e proprie stragi furono commesse anche nelle nostre zone: il 27 aprile a Treschè Conca, a Dueville, a Sandrigo, a Sarcedo, a Valdagno, il 28 a Noventa Vicentina, a Lonigo, a Monte Crocetta.
E molte altre efferatezze furono compiute qui, nel nostro territorio: a Crosara, a Marsan, a Valle San Floriano, a Fontanelle, Santa Caterina, a Pianezze, a Mason, a Mure, a Molvena, a Schiavon.
Il 29 aprile, a Marostica, dopo l’ingresso degli alleati, su proposta del Comitato di Liberazione Nazionale, il prefetto nominò sindaco Luigi Consolaro che si adoperò da subito per migliorare la situazione della nostra città, avviando i lavori di ripristino degli edifici e delle strade. Fu proprio durante un sopralluogo nella strada di Caribollo, 5 mesi dopo, il 15 settembre del 1945, che venne colpito da un’embolia cerebrale e morì poche ore dopo. Fu sostituito per un breve periodo dal vice sindaco Domenico Passuello.
Poi dal 22 novembre del 1945, divenne sindaco Gio.Batta Morello, sempre su proposta del CLN. Anche lui si adoperò per far fronte ai problemi del dopoguerra, alla disoccupazione e s’impegnò per il risanamento del territorio. Organizzò le prime elezioni a Marostica nel 1946, quando fu eletto sindaco Giovanni Volpato.
C’era molto da fare in quei primi anni di libertà. Proprio in un articolo del “Corriere della sera” di sabato scorso, 22 aprile, Federico Fubini ha affrontato questo tema, rendendo nota la corrispondenza scambiata, nel luglio del 1945, tra Paolo Baffi, che era stato nominato, dal governatore Luigi Einaudi, capo del Servizio Studi della Banca d’Italia (sappiamo che poi sarebbe diventato il governatore della stessa Banca), e Federico Caffè, economista, capo di gabinetto del ministero della Ricostruzione del governo Ferruccio Parri. I due si confrontavano sui danni lasciati al nostro paese dalla seconda guerra mondiale. La stima delle devastazioni si attestava sui tremila miliardi, ma era una prima analisi “frutto di un’impressione più che di una valutazione” perché c’era un margine di incertezza amplissimo. I due riportavano dei numeri, tra cui quattro milioni di case distrutte, e poi annotavano i danni sui mezzi di trasporto, sulle linee telefoniche e della luce che erano state divelte con danni di duecento miliardi di lire, pari a sette miliardi di euro di oggi.
Oltre al bilancio morale, civile e politico del fascismo, anche quello materiale era catastrofico.
Possiamo capire come anche i nostri amministratori locali si trovassero di fronte a problematiche enormi e come il ritorno alla normalità fosse ostacolato dalla distruzione che gravava anche su Marostica.
I documenti conservati presso il nostro Archivio Storico ci fanno comprendere meglio quanto fosse tragica la situazione.
Nella Relazione sulla situazione economica dell’esercizio del 1945 la Giunta comunale metteva in evidenza le difficoltà che aveva dovuto affrontare e definì quel periodo come “uno dei più critici che si siano registrati negli annuali amministrativi degli Enti Locali”.
Per fare un esempio, il 31 luglio del 1945 il sindaco Consolaro aveva richiesto degli accertamenti circa la condizione delle scuole per poter poi avvisare il Provveditore agli Studi in vista del riavvio delle lezioni. I plessi più danneggiati risultarono quelli di Vallonara, San Vito, Marsan, Crosara, Capitelli, Valle San Floriano. Quest’ultima scuola era stata occupata dalla Decima Mas dal 9 marzo al 20 aprile. Le maestre presentarono delle relazioni, in cui elencavano non solo i danni, ma anche le circostanze dei saccheggi e i furti perpetrati: i banchi, gli armadi e le cattedre perfino i calamai, erano stati distrutti, i vetri rotti, le radio rubate. E tra le righe si legge lo sconcerto di quelle insegnanti di fronte alla mancanza di rispetto del materiale e degli ambienti scolastici.
La prima Giunta Comunale verbalizzò di essere impegnata “a salvare il salvabile dalla eredità lasciatale dalla guerra, all’assistenza di coloro che per la liberazione ebbero a dare parecchio se stessi, e a quella in genere del ceto povero, come quello che più degli altri è venuto a risentire delle conseguenze della guerra”.
Così distribuirono viveri ed indumenti ai bisognosi, avviarono opere pubbliche per dar lavoro ai disoccupati, come la sistemazione di fabbricati comunali e dell’impianto di illuminazione pubblica.
Nonostante tutte queste difficoltà, dai documenti si evince un clima positivo, di collaborazione, di condivisione: promossero una sottoscrizione per i disoccupati poveri, che vide in prima linea la Banca Popolare di Marostica, raccolsero fondi per i disoccupati, tutti furono chiamati a partecipare: dai medici e gli infermieri dell’ospedale, agli insegnanti delle scuole, agli industriali, ai commercianti agli artigiani… fu organizzata, perfino, una lotteria indetta dal Comitato Comunale per l’Assistenza ai più bisognosi.
Certo bisognava affrontare problemi enormi, ma c’era fiducia nel futuro, la guerra era finita e c’era la libertà.
Finalmente si viveva in pace!
Erano state distrutte case, molte persone erano senza tetto e avevano trovato alloggio presso parenti ed amici. Erano state colpite anche le infrastrutture e, dove ancora esistenti, risultavano quasi impraticabili. Poi c’era l’assistenza ai profughi, bisognava affrontare le spese per le cure e l’assistenza ai rimpatriati, ai reduci di guerra e il livello di disoccupazione era molto alto.
Nelle “Lettere di condannati a morte della Resistenza europea” che rappresentano l’ultimo saluto di donne e uomini perseguitati, torturati e giustiziati da fascisti, nazisti e collaborazionisti durante la Seconda guerra mondiale, ritorna continuamente l’ideale di pace che presume una maggiore fratellanza tra gli uomini, uno spirito di solidarietà e di apertura, indipendentemente dalla provenienza sociale, dall’appartenenza politica, dalla fede religiosa.
Questi condannati erano operai, sacerdoti, intellettuali e contadini, comunisti, socialisti, cattolici, liberali… tutti animati dalla volontà di affermare le libertà civili, dalla necessità di ripristinare i diritti fondamentali, dall’attuazione di una maggiore giustizia sociale, ma l’ideale supremo era, per tutti loro, la pace.
Come afferma Norberto Bobbio lo spirito della Resistenza stava nella solidarietà tra i tre grandi ideali: la libertà, la giustizia sociale, la pace.
Ed è su questi tre principi che si fonda la nostra Costituzione:
l’ideale della libertà personale è affermato nell’articolo 13: “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”.
L’ideale della giustizia lo troviamo nell’art. 3 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
L’ideale di pace è riportato nell’articolo 11 “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
Ma proprio in questo momento, in cui noi celebriamo la libertà e la pace, si sta combattendo una guerra crudele e violenta nel cuore della nostra Europa, e tutto sembra sempre più inconcepibile e insopportabile proprio perché siamo qui a ricordare e festeggiare una liberazione, la nostra, da un invasore.
Si può pensare: ma la storia non dovrebbe insegnare? Allora anche questo nostro ricordare è inutile?
E invece no, mai come oggi è importante, è necessario ricordare.
Commemorare il 25 aprile oggi ha un valore ancora più grande: non è solo il ricordo degli eventi accaduti 78 anni fa, ma
è affermare la democrazia sulla dittatura,
è affermare la libertà contro l’oppressione,
è affermare la pace contro la ferocia della guerra!
Sembravano tutti “rincitrulliti” quelli della Pro Marostica con la Bianchin, assessore alla non cultura. Parlavano solo degli scacchi e dell’inutile museo, incantati da un furbo collezionista di scacchiere intento a creare un monumento per se stesso. Poi finalmente ci hanno ascoltati. Tutto quello che c’è nella Partita a Scacchi è una incredibile rappresentazione della Venezia del 1400. Hai l’oro in mano e parli solo degli scacchi e festeggi un evento il cui centenario non è altro che il ricordo di una intelligente goliardata.
Dopo tanta nostra insistenza hanno capito. Un grande artista Mirko Vucetich aveva avuto nei primi anni ‘50 un’idea geniale. Rendere Marostica con la sua Piazza, Castelli e Mura la finestra degli usi e costumi di Venezia del 1400. L’idea della Partita a Scacchi con personaggi viventi poteva essere il “brand”, il marchio da utilizzare. Dietro non c’era nulla, non c’era una storia, un racconto. Vucetich ha creato il grande evento. Poi qualche marosticense coprendosi di ridicolo dice che c’era un brogliaccio scritto dall’allora assessore alla cultura. In realtà c’era solo un briefing dato intelligentemente dalla Pro Marostica a Vucetich: anima la partita, trova una idea di racconto. Così come era, statica, la Partita era morta.
Con le iniziative di conferenze in programma finalmente si esce da uno sterile campanilismo locale per affermare solo “quanto siamo bravi“, a muovere le pedine, a fare gli sbandieratori, gli arcieri ecc.
Quindi il programma presentato per festeggiare il centenario dell’idea di una Partita a Scacchi con personaggi viventi è assolutamente da condividere. Tant’è che sabato scorso la sala consigliare al Castello era strapiena. Si è aperta la finestra perché Marostica continui a ricostruire la Storia del 1400 veneto. Si è cominciato con “le donne di San Marco”, a seguire “il mito della Serenissima” ed altri incontri. Sempre seguendo l’idea di Marostica protagonista con la Partita a Scacchi della divulgazione della vita di Venezia nel 1400.
Certo che questa idea non deve restare a se stante, ma coinvolgere anche le istituzioni culturali come le scuole e l’Università degli Adulti.
Francamente questa è la realtà. Ognuno dovrebbe fare quello che è capace con competenza ed onestà ed anche capire quando è arrivato il tempo di pensionarsi. E di fare un’altra attività. L’unico punto interessante di queste elezioni è che si vince con il 50%+1. Niente più come prima che vinceva chi prendeva più voti. Certo che il Mozzo stavolta si presenta con anche il simbolo di Fratelli d’Italia, preso sul mercato libero e togliendo di mezzo Scettro e la Costa, che avevano cercato di rientrare iscrivendosi ai neo fascisti. FdI alle ultime politiche era il primo partito a Marostica che sembra ormai votata appunto al neo fascismo, al di là di retoriche manifestazioni degli ultimi appartenenti alla Resistenza. Invece Santini alla prova dei fatti fa la Grande Alleanza con il “cadavere” vivente dei 5 Stelle, rappresentati dal solito Gedorem, che alle ultime elezioni valevano circa il 4%. Nella sostanza le due liste si misurano solo sulla capacità di operare, perché quello che c’è da fare a Marostica lo sanno anche i gatti. È qui che gli elettori sono chiamati a scegliere.
Ed in entrambe non c’è progettualità. Cioè cosa vogliamo che sia Marostica? Anche dal punto turistico non c’è nessun accenno al recupero del Convento di San Benedetto ed ad un ruolo che Marostica potrebbe avere nel turismo di transito, escursionistico. Occorrono tanti soldi per ristrutturare il convento e trasformarlo in un ostello di ottimo livello? Ma almeno proviamo intanto con un progetto. Cominciamo un percorso. Per non parlare poi del restauro delle Mura o dell’area ex Azzolin.
Quindi alla fine dobbiamo scegliere tra Mozzo e Santini perché il menù è questo. Per quel che ci riguarda non possiamo neanche lanciare una monetina, come avremmo voluto fare, ma siamo costretti a votare Santini, perché il Mozzo è uno che querela con i soldi della Comunità chi dissente e ha coperto anche la vergognosa truffa del gas con i suoi amici della Giunta leghista. Diciamo che non abbiamo scelta. Ma almeno siamo in un regime in cui si può ancora votare. Finora.
Dal 1977 al 1982 ho lavorato alla Lega Coop veneta. La mia migliore esperienza di lavoro. Poi me ne sono andato: erano arrivati i socialisti del 10% a comandare. Poi sono stato nel consiglio di amministrazione della Coop Consumatori per sei anni, sostituito dal figlio dell’Alcide Bertazzo. Una vergogna. Ma così è la vita se ti vuol mantenere libero nel pensiero.
Ora riceviamo la lettera di convocazione dell’Assemblea di Bilancio della Coop Consumatori di Marostica. Lo scorso anno, quando Luigi Scomazzon è stato sostituito da Pierluigi Consolaro, eravamo intervenuti, tra lo schiamazzo di alcune signore che volevano zittirci, dicendo che la perdita economica era stata coperta da entrate straordinarie. Cosa non rilevata dalla relazione di bilancio.
Quest’anno da quello che si capisce dalla lettera, in quanto il bilancio non è stato ancora pubblicato, la Coop registra una crescita dello 0,6%. L’aumento dei ricavi della grande distribuzione italiana nel 2022 è intorno al 6,7%. L’inflazione media è stata dell’8,1% e non dell’11,6% come riportato nella lettera ai Soci. In pratica in quantità le vendite per la grande distribuzione sono rimaste ferme. Ma non per la Coop che dovrebbe aver registrato un calo in quantità intorno al 7%.
A questo punto è da vedere il risultato di bilancio, senz’altro non positivo, tant’è che dopo anni, se non ricordo male dal 2008 primo anno che feci come amministratore, il ristorno ai Soci è scomparso.
Ma quale è il problema? È che la Coop Consumatori non è una cooperativa e non sviluppa un marketing sociale, il fattore distintivo di una Coop, oltre a qualità e prezzi convenienti, per restare sul mercato. È di fatto un supermercato come tanti con un consiglio di amministrazione eletto in base a cordate più o meno politiche. Con persone non sempre un minimo capaci e comunque in linea con i tempi. È il motivo per cui fui cacciato nel 2013. Ero per lo sviluppo dei gruppi di acquisto solidale, per non fare l’investimento in un altro supermercato, ma di sviluppare la consegna a domicilio con la costituzione di una Coop di giovani, per fare cultura alimentare, per sviluppare iniziative sociali (gite, concorsi, feste, assistenza ai Soci soprattutto per i figli, ecc.).
Ora ci troviamo con una assemblea in cui l’eterno vice di Scomazzon è diventato finalmente Presidente, ma con un cerino in mano acceso. Il furbo Scomazzon se ne è andato appena in tempo. Le dolorose responsabilità sembreranno di altri.
Non ho mai perso l’interesse a capire dove si stia a andando. Come ancora fossi operativo in azienda. O forse ancora di più avendo tempo per viaggiare e documentarmi. Un’opportunità di sintesi mi è data dalla frequentazione di convegni al Cuoa. E venerdì scorso c’è ne è stato uno molto interessante. Tutte le previsioni economiche sul 2022 sono state superate positivamente e anche il 2023 sembrerebbe una fotocopia del precedente. C’è stata una capacità tutta italiana di trovare le giuste soluzioni alle varie problematiche che si sono presentate. Evidentemente le dimensioni aziendali piccole e medie delle aziende italiane hanno giocato un ruolo importante. Infatti il 51,2% delle esportazioni italiane è fatto da aziende sotto i 250 dipendenti, per la Francia e Germania è il 15% e quindi la maggior parte dell’export è fatto da aziende sopra i 250 dipendenti. La ragione è che l’industria italiana fabbrica ed esporta in alta % componenti di prodotti ed il prodotto finito viene fatto poi all’estero. Questo implica debolezza nella trattativa di prezzo con il cliente industriale e quindi difficoltà per le aziende italiane a dare le stesse condizioni salariali della Francia o della Germania. I componenti hanno marginalità più bassa. Per esempio nella componentistica per auto siamo fortissimi, ma le auto le fanno gli altri. Il caso di un componente che riesce anche a fare prezzo sono il freni Brembo. Noi qui a Marostica per fortuna abbiamo due forti aziende presenti sul mercato con un prodotto finito: Vimar e Pizzato. Quindi con possibilità di fare marketing e prezzo.
Altro problema che è emerso è quello della stabilità politica in termini di avere uno stesso ministro dell’industria stabile per 5 anni di governo. A seguire quello dell’’assurdità dei governi di “unità nazionale” che in realtà costituiscono una paralisi operativa avendo nel loro interno spesso politiche in contrapposizione. Una richiesta quindi di stabilità e chiarezza.